1946 il voto delle donne

29 Dietro l’angolo della democrazia paritaria di Fiorenza Taricone, Docente di Storia delle dottrine politiche, Università di Cassino e Consigliera Parità Provincia Frosinone. 1. Nell’Italia appena unita. La lotta per il diritto di voto nacque contemporaneamente allo Stato unitario. Sappiamo da Anna Franchi – autrice de Il divorzio e la donna, che suscitò uno scandalo internazionale, fondatrice della loggia massonica milanese Foemina Superior (1902) – che nella Milano risorgimentale uscì l’anonimo pamphlet Voto per l’emancipazione della donna in cui si chiedeva una legge che consentisse alle donne d’essere avvocate di loro stesse e del proprio sesso; testimoniare; coprire gli impieghi gratuiti municipali di deputato e revisore dei conti; partecipare alla Camera di Commercio; giudicare nelle cause puramente femminili; laurearsi in qualunque disciplina compreso l’esercizio della medicina e chirurgia «per proprio sesso». Nel 1861, una Petizione circolante alla Camera sotto forma di volantino a stampa, senza menzionare il suffragio femminile chiese che nell’elaborare il Codice Civile del Regno d’Italia s’estendessero a tutte le Italiane i diritti garantiti alle lombarde-venete dal Codice teresiano: mantenimento dei titoli di proprietà precedenti il matrimonio; divorzio per ‘invincibile avversione’ (limitato a coniugi non cattolici); voto amministrativo con designazione di un rappresentante fra i Convocati del Comune. La legge elettorale del Regno d’Italia – al maschile e basata sul censo – ignorò gli uomini non possidenti e le donne, privando le lombarde-venete dei precedenti diritti e aprendo un contenzioso non sanato dal Codice Pisanelli che, ispirandosi al Codice Napoleonico, rese le Italiane minus habens, sottoposte a vita a tutela paterna o maritale. Unica eccezione, lo ius suffragii per quelle che esercitavano la mercatura: residuo dei diritti goduti, nelle Repubbliche marinare, dalle donne che gestivano attività economiche e che non dovevano essere intralciate da una carente capacità giuridica. Nel 1863, il deputato fiorentino Ubaldino Peruzzi – esponente di un’area in cui gli Asburgo avevano lasciate tracce consistenti e marito di Emilia Toscanelli, animatrice di un Salotto tra i più intellettuali, patriottici e unitari – propose un suffragio femminile da esercitare in casa, inviando la scheda in un involto a garanzia di segretezza e del ‘naturale riserbo femminile’. Per tutta la sua vita parlamentare Peruzzi si spese per il voto femminile, amministrativo: «un impegno d’onore preso con me medesimo e con la parte più gentile della popolazione italiana» come disse in un commosso discorso alla Camera che bocciò, per pochi voti, l’ennesimo tentativo (1888). Il Codice del Regno d’Italia, non concependo il voto femminile non lo rigettò esplicitamente, lasciando a deputati sensibili alle pressioni suffragiste la possibilità di proposte di legge; quella di Giovanni Lanza, sul voto amministrativo per le donne, fu «presa in considerazione» ma senza seguito. A sua volta, ne depositò molte, sempre bocciate, il deputato Salvatore Morelli (laico, radicale e massone), in stretto rapporto con Anna Maria Mozzoni (Milano 1837 – Roma 1920), femminista, scrittrice ed esponente di spicco del suffragismo, in contatto con gli ambienti emancipazionisti italiani e stranieri, forse la figura più importante della vita politica italiana e internazionale fra Otto e Novecento, il cui impegno teorico, civile, politico ne disegna un profilo di altissima levatura. Tra le opere maggiori: La donna e i suoi rapporti sociali; la traduzione di La servitù delle donne, dell’inglese Stuart Mill, opera considerato la bibbia del femminismo. Andò a buon fine invece la proposta di legge di Morelli di far accedere le donne alla testimonianza negli atti pubblici (1877), conquista che, al valore in sé, aggiungeva l’apertura di una breccia nella ‘mancata capacità giuridica delle donne’, uno dei maggiori ostacoli al voto. 2. La sinistra al potere e il diritto di voto. La salita al potere della Sinistra non produsse gli effetti sperati dal suffragismo e Anna Maria Mozzoni reagì alla delusione con la prima petizione per i diritti politici senza limitazioni (1887), discussa alla Camera lo stesso anno, ma senza esito. In realtà, Agostino Depretis incluse nel suo programma di governo il voto amministrativo femminile e Benedetto Cairoli lo rilanciò nella riforma elettorale che ampliò la base (maPercorsi del suffragismo in Italia (XIX - prima metà XX secolo)

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