1946 il voto delle donne

30 1946: il voto delle donne schile) dei votanti abbassando il limite del censo a cinque lire (luglio 1877). Tuttavia, Cairoli ignorò le donne e lo stesso fece Giuseppe Zanardelli che, dopo aver proposto un voto amministrativo per «categorie di donne equivalenti a quelle che al maschile ne godevano il diritto» tornò sui suoi passi ribadendo «l’inopportunità di tale ufficio cui la donna non era chiamata dalla sua stessa esistenza sociale». La querelle sul voto delle donne (universale o limitato), contava la maggioranza degli interlocutori nella sinistra laica e progressista ma era trasversale a partiti, schieramenti e ideologie. Erano favorevoli anche esponenti della destra liberale (es. Luigi Luzzatti e Ferdinando Martini) e oppositori anche a sinistra, come l’ex garibaldino Francesco Crispi, per prudenza personale e politica, poiché il suffragio femminile avrebbe aumentato e reso incontrollabile l’elettorato. Intanto, se il movimento femminile e femminista non conquistava il voto, cresceva in consensi e visibilità. Fondata la Lega promotrice degli interessi femminili (1881), Anna Maria Mozzoni stese l’ennesima Petizione per estendere alle donne l’elettorato amministrativo, firmata da Paolina Schiff, dalle operaie Giuseppina Pozzi, Nerina Bruzzesi e Virginia Negri e da Costantino Lazzari. La relativa proposta di legge, pur limitando l’elettorato femminile per censo e capacità giuridica, fu esaminata da una Commissione cui partecipò Giovanni Giolitti, Presidente del Consiglio. La proposta cadde per pochi voti (luglio 1888), nonostante gli accordi di maggioranza, perché Crispi ritenne che «i costumi della famiglia e l’educazione della donna in Italia, non autorizzassero a concedere il diritto di suffragio» e che il voto femminile avrebbe scontentato gran parte dell’opinione pubblica. Nel periodo compreso tra la Petizione di Mozzoni e la bocciatura della proposta, il Partito Operaio Italiano (POI), o Partito dalle mani callose, al suo primo Congresso aprì le iscrizioni ad ambo i sessi e si pronunciò a favore del suffragio universale (1885). La repressione governativa di fine ’800 colpì le libertà fondamentali, di associazione, stampa, pensiero, riducendo al silenzio anche le rivendicazioni dei diritti civili e del voto ma, al volgere del secolo, nacque un combattivo associazionismo femminile, frutto maturo della capacità organizzativa delle donne, risposta socio-politica trasversale per estrazione sociale e formazione culturale delle socie: Unione Femminile Nazionale (UFN, 1899) a Milano (per impulso di Ersilia Majno Bronzini); Consiglio Nazionale delle Donne Italiane (CNDI, 1903) che si connotò per le battaglie suffragiste riprese, dopo l’auto scioglimento sotto il Fascismo, con la Liberazione. 3. Comitati pro-voto: una strategia mirata. Nel 1904, i Comitati pro-voto formarono il Comitato Nazionale (Milano, Roma, Torino e Napoli), realtà associativa urbana e internazionale, collegata all’International Women Suffrage Alliance. Il Comitato sostenne la proposta sul voto alle donne presentata dal deputato Roberto Mirabelli, mentre Anna Maria Mozzoni, settantenne, stese un’ultima Petizione firmata da 27 donne del Comitato Nazionale e d’altri ambienti, tra le quali: Lavinia Taverna, Maria Montessori, Valeria Benetti Brunelli, Teresa Labriola, Ispettrici di scuole e di fabbriche, rappresentanti di cooperative femminili, gruppi ed enti (es. l’Associazione magistrale femminile, la Cooperativa Industriale Femminile e la Società Filantropica), organizzazioni di categoria di telefoniste e telegrafiste. La Petizione riportava, polemicamente, l’odg steso, 25 anni prima, dopo un comizio romano di Mozzoni: «Il comizio dei comizi riconoscendo che l’umanità è costituita dall’uomo e dalla donna, riconoscendo impossibile la risoluzione della questione sociale se non cessino per la metà del genere umano le attuali condizioni di minore età e assenza, coerente ai suoi principi e sollecito della giustizia che l’utile di tutti, riconosce, afferma e proclama così nell’uomo come nella donna il diritto all’integrità del voto». Nel febbraio 1907, bocciata anche la proposta Mirabelli, il dibattito parlamentare sul suffragio femminile ebbe un’apposita Commissione voluta da Giolitti che pure lo riteneva un salto nel buio, dannoso alle sue politiche di pacificazione e integrazione. Esponente di spicco del suffragismo peninsulare, con orizzonti internazionali, la russa Anna Kuliscioff (Sinferopoli 1855 – Milano 1925), anarchica, rivoluzionaria e medica, naturalizzata italiana, sollecitava il Partito Socialista Italiano, di cui era co-fondatrice, forte anche della numerosa presenza di socialiste nei Comitati pro-voto Firmataria di opere basilari (tra le prime, Il monopolio dell’uomo: conferenza tenuta nel circolo filologico milanese, Critica sociale, 1894), Kuliscioff ebbe il merito di assumere la battaglia di Mozzoni e lanciarsi in una campagna pro-voto (1906-1914), in polemica con il tentennante partito che temeva il suffragismo esprimesse le posizioni delle donne della borghesia. Il Comitato nazionale pro-suffragio femminile chiese a Filippo Turati di chiarire cosa intendesse per suffragio universale e la sua risposta su l’“Avanti!”(1910) aprì la cosiddetta ‘polemica in famiglia’: «Niuno dubiterà seriamente che un partito il quale si propone tutte le emancipazioni umane, e che primo chiamò le donne

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