1946 il voto delle donne

65 Formalizzazione del suffragio femminile Il suffragio femminile si formalizzò con il parere favorevole del Consiglio dei Ministri (30 gennaio 1945), seguito dal decreto legge n. 23 del 31 gennaio 1945 (detto decreto Bonomi) che conferì il voto alle Italiane maggiorenni. La lacuna del d.l. che rese le donne elettrici ma non eleggibili fu colmata dagli articoli n. 56 e 58 della Costituzione Il d.l. n. 74 del 10 marzo 1946 aprì al suffragio universale, per Italiane/i maggiorenni (21 anni), eleggibili a 25 anni, tuttavia ci furono delle esclusioni: es. le donne considerate ‘immorali’ comprese quelle che esercitavano la prostituzione fuori dalle cosiddette case chiuse istituite da Cavour; le persone Sorde; le ex deportate maggiorenni che per le vigenti leggi fasciste sulla residenza risultavano “partite per ignota destinazione” come da testimonianza di Vera Michelin Salomon (vedi pag. 55) L’affluenza plebiscitaria alle urne, con enorme concorso femminile, caratterizzò sia le Amministrative nelle città riconsegnate dagli Alleati (sessione primaverile e autunnale) che la doppia votazione del 2 giugno 1946 per l’Assemblea Costituente e per il Referendum monarchia o repubblica. In precedenza, come già altrove ricordato, Vittorio Emanuele III di Savoia aveva abdicato a favore del figlio, Umberto II che non abdicò quando fu esiliato, perciò fu emessa la norma transitoria (abolita nel 2002), che vietò il rientro dei primogeniti dell’ex casa regnante. L’Assemblea, eletta con un sistema proporzionale, ebbe 556 seggi distribuiti in 31 collegi elettorali. Nb Il voto non avvenne in alcuni territori italiani, al 2 giugno 1946 non ancora riconsegnati dagli Alleati (es Bolzano, Udine, Pordenone, Trieste, Venezia Giulia, Istria e Dalmazia), poi in parte passati alla Iugoslavia Consulta Nazionale (1945-1946) Le Consultrici furono ‘la novità della novità’, al centro dell’attenzione italiana ed estera. «L’ingresso delle donne a Montecitorio, con prima esperienza nella gestione della cosa pubblica e il fondamentale compito di gettare le basi dello Stato repubbicano e di nuovi assetti nei patti sociali e tra i sessi, iniziò con la Consulta Nazionale detta anche Assemblea della Libertà in cui un certo numero di donne ebbe il vero battesimo politico» scrive Cecilia Dau Novelli in Le donne della Costituente La Consulta Nazionale non fu elettiva ma a nominale Il Governo nominò 13 Consultrici ma il loro numero aumentò fino a 21. La consultrice sarda Bastianina Musu Martini morì di malattia il 21 ottobre 1945 senza entrare perciò a Montecitorio, fino all’ultimo avendo lottato per la libertà e la parità. Romana di nascita ma di famiglia sassarese antifascista – i genitori, Domenico B. e Bastianina Martini furono tra fondatori del Partito d’Azione (1942) – in un articolo su “L’Italia libera” (16 febbraio 1945), propose il riequilibrio della rappresentanza e di riservare alle donne un decimo dei seggi nei consigli comunali. Emilio Lussu, Ministro ai rapporti con la Consulta del 1° governo De Gasperi, nel commemorarla esaltò le donne per la loro ‘sensibilità umana superiore alla tecnica, alla scienza e alla stessa politica’ ma sempre rispetto al modello di tradizione liberale e fascista. Musu fu sostituita da Ada Prospero (in prime nozze Gobetti e in seconde Marchesini), e tutte s’impegnarono in una trasversale affermazione e difesa della dignità, libertà e diritti delle donne senza i quali cadeva il concetto d’universalità del genere umano. Molte erano state antifasciste, impegnate nella Resistenza e nei quadri dei rispettivi partiti già durante la clandestinità; solo Adele Bei Ciufoli non fu designata dai partiti ma dalla CGIL. Demolaburisti, i monarchici, il Partito d’Azione e il Partito dell’uomo qualunque (da cui deriva il termine qualunquisti), non fecero candidature femminili. Tutte le Consultrici s’impegnarono nell’associazionismo Consulta Nazionale, Comitato dei 75, Assemblea Costituente

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