1946 il voto delle donne

Adele Bei di Fiorenza Taricone, Docente di Storia delle dottrine politiche, Università di Cassino e Consigliera Parità Provincia Frosinone Adele Bei, Costituente e Madre della Repubblica, nasce a Cantiano, in provincia di Pesaro, da Angela Broccali e Davide Bei, boscaiolo, terza di 11 figli. Sicuramente la famiglia, di fede socialista, sarà determinante per le sue scelte politiche; partecipa infatti fin da giovanissima a manifestazioni di protesta per una maggiore giustizia sociale. Nel 1923, per sfuggire all’arresto del fascismo, da poco al governo del Paese, emigra in Belgio e Lussemburgo insieme al marito Domenico Ciufoli, con cui si era sposata nel 1922; Ciufoli, nel 1921, era uscito dal Partito socialista per fondar e con Amedeo Bordiga, Antonio Gramsci, Pietro Secchia e Umberto Terracini il Partito Comunista d’Italia. All’estero, dove nascono i due figli, Ferrero e Angela, organizza riunioni clandestine di operai, diffonde la stampa comunista e la sottoscrizione al Soccorso Rosso, organizzazione internazionale per i combattenti della rivoluzione, creata alla fine del ’22 per offrire sostegno materiale, giuridico e morale ai detenuti ed emigrati politici e alle loro famiglie. Dal 1925 entra a far parte dell’organizzazione del Partito Comunista; rientrata più volte clandestinamente, in Italia, nel 1933, a Roma, è arrestata, a Roma e resiste per dieci giorni, in Questura, agli interrogatori dell’Ovra, senza delazioni. Dopo otto mesi di carcere preventivo alle Mantellate di Roma e un processo farsa di venti minuti, è condannata dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato a 18 anni di reclusione. Trasferita due mesi dopo nel penitenziario di Perugia, vi trascorre sette anni e mezzo, il primo in completo isola mento anche durante l’ora d’aria. Nel carcere, le detenute “comuni” sono separate dalle “politiche”, una ventina su 600, tra le quali Camilla Ravera; il gruppo forma una “famiglia” di cui lei, per anzianità, è “la mamma”, finalizzato ad aiutare le malate, al sostegno reciproco nelle dure prove per l’ottenimento di alcuni diritti come alcune ore di vita in comune e di studio, per “migliorarsi” individualmente e poter un domani, in una nuova Italia, sostenere la loro causa. Confinata nell’isola di Ventotene, certo oggi difficile da immaginare come luogo di punizione, ha modo di frequentare i dirigenti comunisti Di Vittorio, Terracini, Scoccimarro, Secchia e altri perseguitati politici. Esce due anni e mezzo dopo, con la caduta del Fascismo. Rientrata fortunosamente a Roma, il 18 agosto del ’43, sfugge più volte all’arresto dei tedeschi e dei fascisti durante la Resistenza. Partigiana combattente con il grado di Capitano, tiene le relazioni con i gruppi del Lazio e partecipa ai Gruppi di difesa della donna che organizzano anche gli assalti ai forni. Dopo la Liberazione, nel 1945, è designata dalla CGIL a far parte della Consulta Nazionale, unica donna tra le consultrici a essere designata da un sindacato e non dal partito. Come responsabile della Consulta femminile della CGIL, nell’ottobre del ’45, guida una delegazione di protesta contro i licenziamenti delle impiegate nell’amministrazione ferroviaria, deciso da Ugo la Malfa, allora Ministro dei Trasporti. Nel Partito Comunista fa parte della Commissione centrale di controllo e del Comitato regionale delle Marche. Nell’Unione Donne Italiane, di cui è una delle componenti del consiglio direttivo, si batte per una vita decente nelle campagne, rivendicando assistenza medica, formazione scolastica e patti agrari uguali per uomini e donne. Sostiene dagli esordi e diventa Segretaria del sindacato nazionale delle combattive Tabacchine. (continua alla pagina seguente)

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