1946 il voto delle donne

16 1946: il voto delle donne in Francia, il 5 maggio 1848 ma solo al maschile. Provocatoriamente, l’anno dopo Jeanne Deroin si candidò alle elezioni tappezzando Parigi di manifesti che dichiaravano un’assemblea di soli uomini incompetente a trattare leggi riguardanti i due sessi così come un’assemblea di “privilegiati” lo sarebbe stata trattando dei bisogni della classe operaia o una di “capitalisti” per difendere l’onore del paese. Il tempo breve de La Comune (1871) non cambiò le cose. All’apporto basilare delle parigine e delle loro organizzazioni (ad esempio l’Unione delle donne per la difesa di Parigi e l’aiuto ai feriti), seguì una feroce repressione: moltissime le esecuzioni sommarie contro “qualsiasi donna mal vestita”, cioè popolana; 1.501 processate, 800 condannate a morte, 25 ai lavori forzati, 42 alla deportazione. Per un altro trentennio, un’esigua ma agguerrita minoranza delle Francesi, reclamò il voto sull’equazione rilanciata da Hubertin Auclert: niente diritti politici, niente pagamento delle tasse; posizione condivisa dal Consiglio Nazionale delle Donne Francesi (CNFF) seppure lacerato davanti alle azioni eclatanti del suffragismo radicale. Il distinguo fu riassunto da Jane Misme, fondatrice dell’Unione Francese per il Suffragio femminile” (UFSF, 1909): «La suffragetta è una guerriera che intraprende armata la conquista dei diritti civili, la suffragista punta allo stesso fine ma cerca una soluzione pacifica» (Latour, Femmes et cioyennes, 36) L’ufsf non aderì all’Alleanza Internazionale per il Voto alle donne (aisf) ma una socia, Cècile Brunschvicg, fondò con Ferdinand Bouisson la Lega degli Elettori per il suffragio femminile (lesf), d’appartenenza radical-socialista. La Prima Guerra Mondiale rallentò m non fermò, in Francia e altrove, il suffragismo per l’ennesima volta deluso nonostante il contributo fondamentale, una volta di più, delle donne anche negli ambienti lavorativi fino ad allora riservati ai maschi, perciò, il 6 ottobre 1934, Louise Weiss fondò Femme Nouvelle, la “boutique féministe” ai Champs-Élysée che riempì di “girotondi” le strade. Neppure il governo del Fronte Popolare portò al suffragio universale e le organizzazioni pro-voto, radicali e moderate – molte con proprie testate richiedenti anche parità di salario – continuarono a prolificare in una Francia che non conobbe la dittatura fascista ma che fu occupata dai Nazisti finché, alla fine della Seconda guerra mondiale, il voto fu conquistato nel 1945. Redazione Alle urne cittadine! di Marion Lepetit Engelsen, Avvocata alla Corte d’Appello di Parigi, Presidente associazione culturale Inventer Rome In Francia, le donne ottennero il diritto di voto nel 1944 con un’ordinanza del 21 aprile decisa dal generale De Gaulle ad Algeri, dove aveva organizzato istit uzioni embrionali in sostituzione del regime di Vichy per evitare, dopo l’auspicata Liberazione, una messa sotto tutela da parte degli Alleati e voltare definitivamente la pagina con la Terza Repubblica. Al tempo, la guerra non era ancora finita, ma le elezioni municipali del 25 aprile1944 aprivano alla Repubblica democratica di Francia. L’ordinanza di De Gaulle, che all’art. 17 dichiarava «Le donne sono elettrici ed eleggibili a pari condizioni degli uomini», fu preceduta da due atti storici sempre da parte di De Gaulle: la promessa che la futura Assemblea nazionale costituente sarebbe stata eletta «a scrutinio segreto di tutti i Francesi e le Francesi» (23 giugno 1942); l’indizione, il 17 settembre 1943 – mentre era in atto un braccio di ferro tra De Gaulle e Giraud (imposto dagli Alleati) – dell’Assemblea consultativa provvisoria (di nominati/e), in cui entrarono Marthe Simard, designata dai rappresentanti della Resistenza (all’estero) e Lucie Aubrac, da quelli della Resistenza in Francia*. La Francia fu dunque uno degli ultimi paesi d’Europa ad accordare il diritto di voto e d’eleggibilità alle donne, appena davanti all’Italia, al Belgio, alla Grecia, a Cipro, alla Svizzera e al Lichtenstein. Ciò accade dopo molti anni di discussione nella Camera dei Deputati, che votava a favore, e in un Senato che s’opponeva, argomentando di una “natura femminile” votata alla sfera privata: «Il focolare sarà un inferno», «i bambini saranno trascurati», «la donna è un idolo prezioso e affascinante» il cui ruolo «è di sedurre non di battersi». Di fatto, i radicali dell’epoca temevano un voto femminile sotto l’influenza clericale che avrebbe favorito le forze conservatrici e non esitarono perciò ad attenersi al suffragio semi-universale, maschile, dopo il 1848. Dopo la guerra, durante la quale le donne hanno duramente lavorato e si sono attivamente impegnate nella Resistenza, non si poteva più rifiutar loro dei diritti politici poiché esse rappresentavano, nel 1945, il 60% dell’elettorato (moltissimi uomini essendo morti in guerra o ancora prigionieri). È grazie a un comunista, Fernand Greniere, che il diritto di voto è stato infine accordato, o piuttosto, come le donne

RkJQdWJsaXNoZXIy MjM0NDE=