1946 il voto delle donne

21 Percorsi del suffragismo in Occidente e l’equiparazione tra i figli legittimi e gli illegittimi. La vittoria di Francisco Franco, la cui responsabilità non può certo essere attribuita alle neo-elettrici, cancellerà ogni diritto. Diverse erano le coordinate di fondo in Germania, dove, soprattutto, nella seconda metà dell’800, il partito socialista di Erfurt, a differenza di altri partiti socialisti, si era dichiarato favorevole al diritto di voto delle donne; la causa suffragista aveva pertanto ricevuto presto il pieno sostegno del partito. La presenza poi di Clara Zetkin, leader di primissimo piano del movimento socialista, diede un respiro internazionale alla causa suffragista. La Costituzione di Weimar del 1919 – la nuova Carta della Repubblica federale – inserì l’elezione del Reichstag con il voto di tutti gli uomini e di tutte le donne. Il riconoscimento della cittadinanza femminile e l’ampio ruolo riservato ai sindacati rivelano l’impronta socialista della celebre Costituzione. Il paese simbolo del suffragismo rimane comunque l’Inghilterra, dove indiscutibilmente si ebbe il movimento più esteso e stratificato. La legge del 6 febbraio del 1918 stabilì il diritto di voto per circa 6 milioni di donne inglesi, ossia tutte coloro che avessero superato i 30 anni di età, dunque in condizioni diverse rispetto agli uomini, per i quali era richiesto il superamento del ventunesimo anno (tale gap verrà cancellato nel 1928). Un peso importante lo hanno naturalmente ricoperto i diversi sistemi culturali: l’etica protestante ha tradizionalmente incoraggiato i diritti soggettivi e, soprattutto, sebbene le relazioni tra ambito civilistico e pubblicistico siano diversamente strutturati, fin dal 1882, con il Married Women’s Property Act le donne coniugate hanno potuto disporre liberamente dei loro beni e del loro salario. Ammesse (solo le nubili in verità) al voto per i Consigli municipali fin dal 1869 e per i Consigli di contea dal 1880, le inglesi cominciarono a porre la questione della parità dei diritti politici, dal 1867. All’interno del movimento, sul finire dell’800, emerse una divergenza profonda: una parte abbracciò una posizione gradualista che privileggiò azioni di pressione su politici e deputati perché si facessero interpreti della loro causa; l’altra scelse metodi di lotta diretti: manifestazioni cittadine, interruzioni di comizi, incatenamenti ai cancelli del Parlamento. Al primo indirizzo fece capo la National Union of Women’s Suffrage Societies a lungo presieduta da Millicent Garrett Fawcett (dal 1890 al 1919); all’impostazione più radicale la Women’s Social and Political Union fondata nel 1903 da Emmeline Pankhurst e dalla figlia Christabel. Nel 1912, quando il Parlamento bocciò il Conciliation Bill, il movimento suffragista esplose: cortei, manifestazioni pubbliche, assalti alla proprietà privata; gli arresti che ne seguirono furono contestati da lunghi e significativi scioperi della fame. Il governo inglese rispose con una legge definita Cat and Mouse Act che autorizzò l’alimentazione forzata delle scioperanti e la rimessa in libertà delle militanti presto nuovamente recluse alla ripresa delle manifestazioni. Memorabile rimase l’episodio che vide, nel 1913, Emily Wilding Davison, durante un darby, buttarsi sotto il cavallo del re in piena corsa, perdendo ovviamente la vita. I suoi funerali si trasformarono nell’ultima imponente manifestazione suffragista del periodo precedente alla guerra. La fine del primo conflitto mondiale costituisce un momento importante per il riconoscimento del voto alle donne che lo ottennero in Irlanda e, a seguire, nei Paesi Bassi e in Svezia. Il fondamentale contributo svolto per l’appunto durante la vicenda bellica sarà, diversamente declinato, un argomento centrale nel dibattito europeo. Papa Benedetto XV, nel 1919, fugò i timori e le ostilità di un tempo e si dichiarò a favore della cittadinanza femminile, permettendo così un cambiamento di rotta a molti partiti politici di ispirazione cattolica. Tutto questo non deve però farci dimenticare il primato che in Europa spetta alla Finlandia: qui il riconoscimento del diritto di voto alle donne avvenne nel 1906, in seguito alla promulgazione di una Costituzione liberale che prevedeva un proprio Parlamento monocamerale e s’inseriva nel ciclo di lotte di stampo indipendentista dall’impero zarista. La Norvegia sarà il primo paese autonomo a introdurre, nel 1913, il diritto di voto per le donne; la battaglia in questo senso era iniziata fin dal 1885 grazie ad un’associazione per il suffragio femminile fondata e guidata da Gina Krog. Alla Norvegia, seguiranno altri due paesi del Nord Europa: l’Islanda e la Danimarca che riconosceranno l’uguaglianza politica tra i sessi nel 1915. Le Danesi, in verità, votavano dal 1908 nelle elezioni amministrative per le quali, in tutta Europa, le resistenze erano state meno forti perché più tradizionale e legittimo era il ruolo delle donne nelle amministrazioni locali e in ambiti di loro competenza quali: scuola, sanità, assistenza.

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