1946 il voto delle donne

25 Percorsi del suffragismo in Occidente “La Dichiarazione dei diritti e dei sentimenti”. Nascita del Movimento femminista liberale e suffragista negli USA di Maria Paola Fiorensoli – Presidente Associazione il Paese delle donne Nel luglio 1848, a meno di un secolo da quando Betsy Ross cucì a mano la prima bandiera degli Stati Uniti d’America (1777), Jenny Hunt offrì un tè, nella sua casa di Waterloo (N.Y.), a quattro amiche quacchere, come lei impegnate in ambito filantropico e religioso, nel movimento d’emancipazione dei neri e in quello rivendicazionista. Tra un sorso e l’altro di tè, Elizabeth Cady Stanton, Lucretia Coffin Mott, Martha C. Wright, Mary Ann McClintock e la loro ospite, affrontarono i temi del dibattito socio-politico in circolazione negli ambienti più avanzati delle due sponde atlantiche e che già tanto aveva contribuito a diffondere le idee dell’Illuminismo, della Rivoluzione Francese (1789) e dell’Indipendenza americana (1776) giovandosi anche dei contatti internazionali, delle parentele, dei matrimoni, degli interessi culturali delle donne della nobiltà e borghesia. Le cinque sedute al mitico tavolino da tè, erano donne bianche e del ceto medio appartenenti a un «network culturale e religioso che superava i confini ristretti delle piccole comunità del New England» come ricorda Raffaella Baritono (Il sentimento delle Libertà La Dichiarazione di Seneca Falls e il dibattito sui diritti delle donne negli Stati Uniti di metà Ottocento). Attente e ben informate, di alto profilo intellettuale, di grande coraggio e generosità, le cinque amiche e le loro conoscenti pativano la delusione di una Costituzione federale che non aveva riconosciuto diritti politici di voto a chi tanto aveva concorso all’Indipendenza Le donne continuavano a non votare e a rimanere a vita sotto ‘tutela’ maschile come da precedente Common law, legge inglese vigente nelle Colonie. Stessa delusione avevano sofferto le Francesi escluse dalla cittadinanza da una Rivoluzione che anch’essa, senza di loro, non si sarebbe realizzata. Due di loro, Elizabeth Stanton e Lucretia Mott – fondatrice dell’Associazione femminile per l’emancipazione dei neri e per i diritti delle donne e per il voto (Filadelfia, 1833), partecipata da bianche e da nere – s’erano conosciute in occasione della prima Convenzione mondiale sull’abolizionismo, la World’s Anti Slavery Convention, organizzata a Londra (12 giugno 1848) dalla British and Foreign Anti Slavery Society che aveva rifiutato le credenziali alle presenti, esponenti e finanziatrici di associazioni abolizioniste e di riforma, e le aveva confintate in Tribuna, senza diritto di parola. Ad aggravare la discriminazione, il silenzio di una platea composta da mariti, figli, parenti, amici di movimento, tra i quali James Mott (marito di Lucretia) ed Henry Stanton (marito di Elizabeth), referenti dei maggiori movimenti abolizionisti americani. Al rientro, l’impegno rivendicazionista e/o suffragista delle escluse s’era moltiplicato e quel pomeriggio, in casa Hunt, le cinque amiche fecero il punto sulle posizioni prese dai vari movimenti americani, spesso avanzati sul rivendicazionismo ma non sull’antischiavismo. Non era automatico che il sostegno ai diritti delle donne s’accompagnasse a quello dei diritti dei neri, e viceversa, rimanendo una parte numerosa del rivendicazionismo non abolizionista. Con una fuga in avanti, lo Stato del New Jersey aveva concesso il voto alle donne nel 1808, seguito da Wyoming e dall’Utah: due Stati a maggioranza mormone che, tramite la maggioranza delle elettrici, si erano assicurati la difesa del regime poligamico. In tante, dopo la decisione della Corte Suprema del Nord Carlolina di non estendere alle donne ciò che aveva concesso agli uomini liberi di colore, avevano patito la doppia delusione dell’esclusione e della revoca della concessione (1835), rimanendo sul tappeto la diatriba sul XIV emendamento. La Court of Common Pleas (Corte delle udienze comuni), aveva mantenuto l’esclusione delle donne dal voto pur includendole nella lista dei contribuenti come aveva fatto la Reform Bill, la legge elettorale inglese del 1832, che sostituendo man (uomo) con male (individuo di sesso maschile), aveva impedito alle suffragiste (es. la Societies for Women’s Suffrage), di usare a proprio vantaggio il ‘neutro universale’. Questione antica quella dell’intreccio tra diritti politici e tassazione! Nella Roma repubblicana del 42 a.C., la prima e unica donna a parlare in Senato, Ortensia, figlia di Q. Ortensio Ortalo, impedì la tassazione delle ricche matrone, a fronte delle spese di guerra, sul principio «chi non ha diritto alla rappresentanza non deve pagare le tasse.» Lo stesso principio della Rivoluzione americana. In casa Hunt si decise che il tempo dell’attesa e della mediazione era finito. Occorreva agire “subito e da sole” per vincere nelle lotte suffragiste, rivendicazioniste, rifiutando

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