1946 il voto delle donne

31 Percorsi del suffragismo in Italia lavoratrici a tutte le battaglie della lotta e dell’organizzazione economica, possa mai avere in animo di escluderle dal possesso di quell’arma politica che è fra i più validi strumenti e fra le migliori salvaguardie nelle conquiste di classe Ma forse, la cortese domanda intendeva piuttosto invitarci a precisare quale importanza si attribuisca da noi al suffragio femminile in questa precisa ora della storia in Italia e se da noi si annetta un carattere per così dire pregiudiziale». Gli rispose Kuliscioff su “Critica Sociale”: «Ho letto e riletto nel “Avanti!” la risposta del Comitato Centrale Socialista per il suffragio universale al Comitato Nazionale pro-suffragio femminile e sono a chiedermi ancora (molti altri suppongo si saranno chiesti con me) perché mai per una dichiarazione così semplice hanno speso tante parole? Come socialisti, bastava rispondere, ovvio che siamo per il voto esteso alle donne; ma come partito d’azione non possiamo troppo complicare le cose; le donne abbiano pazienza (non è questa una delle maggiori virtù ch’essi dividono con altri non meno preziosi animali?)». Il Comitato Nazionale pro-suffragio, sempre intrecciando le lotte per il voto a quelle per i diritti civili sostenute dal movimento femminile femminista (es. la ricerca della paternità), ottenne che al I° Congresso delle Nazionale delle Donne Italiane (1908), l’assemblea fosse gestita dalle suffragiste e presieduta da Giacinta Martini Marescotti la quale, sottolineata «l’assurdità di estendere il voto all’operaio e non all’operaia, non inferiore nella coscienza e nell’istruzione, e spesso più oberata di lavoro» concluse: «credere, credere, credere; avere fede nel trionfo finale della nostra causa, associarsi, organizzarsi, operare con l’entusiasmo che viene dalla fede nella vittoria». A sua volta, la prof.ra Anita Pagliari, invitò i Comitati regionali pro-voto ad incrementare i rapporti con i rappresentanti politici per costruire maggioranze favorevoli al suffragio universale; studiare e discutere le leggi dello Stato; ottenere che le donne si potessero rivolgere direttamente al Governo, senza intermediari; costruire un, compatto, partito femminista italiano, di donne e uomini, trasversale e unito nel lottare per la parità civile e politica fra i sessi; aprire una testata che ospitasse il punto di vista delle donne e desse spazio alle manifestazioni della vita sociale civile, politica, artistica. 4. Un suffragio falsamente universale. La nuova legge elettorale, votata durante la guerra di Libia, aumentò gli elettori da 2.930.473 a 8.443.205 (dall’8,20% al 23,2%) ma bocciò il suffragio femminile anche solo limitato al grado di scolarità, al reddito e ai titoli professionali, giustificandosi con la difficoltà di stabilire dette ‘categorie’. Un peso dirimente l’ebbe, in questo caso, l’ostilità socialista e di quanti temevano un elettorato femminile elitario o potenziante il voto conservatore e borghese. Il Partito Socialista non voleva collaborare con il cosiddetto femminismo borghese accusato di accettare anche un accesso al voto limitato, legato al censo e all’istruzione, escludente le donne della classe lavoratrice. Inoltre, le femministe borghesi erano accusate di seguire le logiche di partiti disposti ad appoggiare il voto delle donne. La mobilitazione socialista anti-voto provocò la lacerazione con le socie suffragiste. Alla vigilia del primo conflitto mondiale, l’Alleanza internazionale pro-suffragio lanciò un Appello che auspicava il consolidamento dei fruttuosi rapporti fra nazioni ma ormai era iniziata la mobilitazione nei vari paesi e l’associazionismo delle donne si divise fra un interventismo puro, che vedeva nella guerra il proseguimento degli ideali risorgimentali, e un pacifismo totale. Nel clima lacerato e instabile del 1919, perciò ricettivo e vulnerabile, i Comitati pro-voto ripresero slancio e Liberali e Socialisti, uniti, presentarono una legge sul suffragio femminile di soli articoli: n. 1, estendere alle donne le leggi vigenti sull’elettorato politico e amministrativo e le disposizioni dei relativi regolamenti a Italiani e Italiane aventi i requisiti richiesti; n. 2, autorizzare il Governo a rendere esecutivo, per decreto reale, l’articolo precedente. L’iter della legge, approvata a larga maggioranza (19.9.1920), fu interrotto dai fatti di Fiume e dallo scioglimento della Camera cosicché il Parlamento liberale, democratico e pluralista, alla vigilia d’essere esautorato dal Fascismo, lasciò al movimento femminile femminista un’eredità legislativa sofferta e a volte drammatica. È storicamente inesatto affermare che, seppure in teoria, il primo diritto di voto amministrativo femminile sia stato ‘concesso’ dal Fascismo avviato a diventare regime. Tale ‘concessione’ riguardante le vedove della prima guerra mondiale (non risposate), le donne che sapevano leggere e scrivere e che pagavano le tasse, era frutto dell’iter interrotto, degli ambienti laico-socialisti di cui Mussolini aveva fatto inizialmente parte. Nel 1922, il socialista Giuseppe Emanuele Modigliani ed altri proposero una legge di suffragio universale con un solo articolo: estendere alle donne le leggi vigenti sull’elettorato (maschile) politico e amministrativo. Fu l’ultimo tentativo. Il Fascismo, negli anni ’30, liquidò in modo diversificato la quasi totalità dell’associazionismo femminile che aveva caratterizzato l’Italia liberale. Molta parte di esso rinacque con la Repubblica.

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