1946 il voto delle donne

33 Percorsi del suffragismo in Italia Quale tappa considera fondamentale per il diritto di voto collegata al CNDI? Certamente il 1° Congresso Nazionale delle Donne Italiane, inaugurato a Roma, in Campidoglio (1908), alla presenza della Regina e salutato dall’allora Sindaco di Roma, Ernesto Nathan, uno dei figli della mazziniana Sara Levi Nathan, massone, radicale, illuminato. Il Comitato Nazionale Pro-Suffragio, che legava la causa del voto a lotte per i diritti civili del movimento femminil-femminista (es. la ricerca della paternità), otteneva dal comitato organizzatore del Congresso una seduta plenaria gestita interamente dalle suffragiste e presieduta da Donna Giacinta Martini Marescotti, prestigiosa presidente del Comitato Nazionale con vice presidenti la marchesa Elena Lucifero e la prof. ssa Cleofe Pellegrini; segretarie Anita Pagliari e Romelia Troise; cassiera Elisa Lollini. Nel discorso inaugurale, la Presidente sottolineò l’assurdità di concedere il diritto di voto all’operaio e negarlo all’operaia, non inferiore nella coscienza e nell’istruzione, e che talvolta lavorava più di lui. Ricorda qualcuno degl’interventi più interessanti al riguardo? Interveniva nella discussione la prof. ssa Anita Pagliari, della Società pensiero e azione, che aveva individuato temi fondamentali e si rivelava anche profetica. Occorreva insistere sulla propaganda fatta dai comitati regionali presso i rappresentanti politici perché il diritto di voto non sarebbe stato ottenuto se non quando la maggioranza dei deputati fosse stata favorevole. Le donne però da parte loro dovevano interessarsi delle leggi sancite dallo stato, discutendone e formulando progetti di legge riguardanti le donne per farle presentare alla Camera da qualche deputato ‘femminista’. Perché le donne fossero ascoltate dal Governo bisognava anche essere in molte, ben organizzate e attive, bisognava costituire un solo e compatto partito femminista italiano al quale dovevano iscriversi donne e uomini di convinzioni anche diverse, ma con un solo credo: l’uguaglianza civile e politica dei due sessi; inoltre, bisognava fondare un giornale quotidiano che trattasse tutte le questioni dal punto di vista femminile e in cui tutte le manifestazioni della vita sociale, civile, politica, artistica, fossero giudicate da un’anima femminista. Solo allora, diceva Anita Pagliari, quando il nostro esercito sarebbe stato costituito, il paese avrebbe riconosciuto che lo stato era formato oltre che di cittadini, di cittadine. Quali erano le contrarietà che durante il Convegno erano state elencate nei confronti del diritto di voto alle donne da parte della politica, dell’opinione pubblica e delle donne? Per esempio, Elena Ballio del Comitato Femminile Napoletano, nel chiedersi perché il voto femminile incontrasse tante ostilità, rispondeva che esso implicava il diritto di essere elette, per cui la donna elettrice sarebbe stata in un avvenire più o meno vicino, consigliere, deputato, senatore, ministro e, perché no, anche presidente della repubblica. Altri motivi erano più o meno noti: l’ignoranza assoluta di molta parte della popolazione, anche delle persone di media coltura; i pregiudizi storico, religiosi, etici e giuridici; il timore avanzato dagli opportunisti che la donna non avesse ancora l’educazione necessaria; l’egoismo dell’uomo che non intendeva rinunciare ai vantaggi offerti dalla dipendenza e dall’inferiorità giuridica della donna; gli egoismi dei partiti, fra cui il socialista, che negavano l’appoggio alla causa perché contraria ai loro principi; l’indifferentismo politico e l’inerzia comune a tutte le classi sociali. La baronessa Irene De Bonis distingueva due tipi di opposizione: quella maschile e quella femminile. Quest’ultima si basava sulle donne che non volevano dispiacere l’uomo e il marito, principale meta di vita. Quella maschile era motivata dalla perdita della propria superiorità. Quali erano le spaccature all’interno del Consiglio e del movimento suffragista? Sostanzialmente potevano essere ricondotte a due motivazioni: ideologica e generazionale. Ad esempio, nel 1910, nel Comitato romano pro-suffragio le due anime, quella aristocratica e quella democratica vennero in urto. Il Comitato Pro-Voto donne di Torino (17.1.1910), deplorava la crisi incresciosa che divideva le sue socie in due campi, mentre la legge non aveva privilegi, né per le une, né per le altre. Esortava le componenti del Comitato Romano a rappacificarsi e moderare le impazienze, riprendendo il proprio lavoro sotto l’egida della Presidente Donna Giacinta Martini Marescotti, la quale era ben degna e capace di portare a compimento l’aspirazione delle italiane verso una conquista che doveva metterle in grado di cooperare al miglioramento e all’assetto sociale e politico del Paese. A ciò si aggiungeva a volte la differenza d’età. Teresa Labriola, vice-presidente del Comitato Romano pro-suffragio, in un’intervista a “Il Giornale d’Italia” respingeva l’idea di una contrapposizione tra

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