1946 il voto delle donne

38 1946: il voto delle donne to dieci terribili giorni nelle mani dell’Ovra e cinque mesi alle “Mantellate”, nel carcere Regina Coeli, fu condannata a 18 anni di reclusione dal Tribunale Speciale – dopo un processo-farsa di venti minuti – per attività sovversiva; aver “costretto” i Giudici a punirla in quanto pessima donna, sposa e madre che si era occupata in modo “innaturale” di politica; essere anti-italiana avendo messo in salvo i figli piccoli all’estero, sottratti all’educazione voluta dal Duce. «Non preoccupatevi della mia famiglia» rispose ai Giudici «pensate invece ai milioni di bambini che, per colpa vostra, stanno soffrendo la fame in Italia È appunto perché son mamma e voglio un avvenire migliore per queste creature che mi trovo qui, di fronte a voi!» (op cit., 20). Dopo i primi sette anni nel carcere perugino – descritti nelle lettere in cui racconta anche la formazione di collettivi di solidarietà, tra prigioniere – fu amnistiata e graziata della restante pena ma ebbe cinque anni di confino di Polizia a Ventotene (giugno 1941), come sovversiva pericolosa e non pentita (Archivio Centrale dello Stato, Casellario politico centrale, busta 437, nota del carcere di Perugia alla questura di Roma del 19 aprile 1941). Il suo arrivo è descritto da Giovanna Marturano, molto colpita dalla serena vitalità che dimostrava, nonostante il momento. In quello stesso mese, altri confinati a Ventotene, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, stesero il Manifesto per un’Europa Libera e Unita (Manifesto di Ventotene), alla base del federalismo europeo. Le «condizioni tragiche», di repressione e di fame di cui parla il carteggio di Adele Bei, s’aggravavano dell’obbligo, di chi era al confino, di mantenersi con lavoretti quasi impossibili da trovare e Adele ne svolse di cucito e di ricamo. Liberata il 27 luglio 1943, Adele Bei, partigiana combattente nella Resistenza romana (con altre note esponenti del Partito Comunista clandestino – Egle Gualdi, Adele Maria Jemolo, Laura Lombardo Radice, Marisa Musu, Laura Garroni, Maria Teresa Regard), organizzò, nella città affamata, gli assalti delle donne ai forni che in cui caddero Caterina Martinelli, madre di sei figli, per aver preso uno sfilatino, e dieci donne al forno Tesei (Ponte dell’Industria, 7 aprile 1944). Nel Comitato centrale del PCI, Adele Bei fu Madre costituente, Senatrice nella prima legislatura (1948-1953) – unica donna fra i 106 senatori nominati secondo la Terza disposizione (transitoria e finale) della Costituzione italiana – e sindacalista (CGIL). Donne antifasciste e al confino. La Resistenza delle donne in terra di Barbagia di Maria Annunziata Secci, Presidente Raichimas e Chimas (Radici e Germogli) – Dorgali (NU) Alle pareti della sala consiliare del Comune di Dorali, accanto ad altre foto d’epoca, è appesa la fotografia di una signora che indossa il costume tradizionale sardo; vicino a lei tre bambini, vestiti a festa, compunti. Nessuno, guardando la donna, penserebbe che non sia del posto; ha la compostezza, la postura delle dorgalesi in costume da sposa. I folti capelli, con la scriminatura centrale, perfettamente acconciati, reggono l’ampio scialle di seta che ricade in due bande laterali, simmetriche, leggermente scostate indietro, a incorniciare un busto generoso stretto nel prezioso corpetto di broccato. Son mani sapienti quelle che l’hanno acconciata, che hanno compiuto i gesti giusti per ottenere un risultato perfetto; sono mani amorevoli che hanno vestito una figura sentita vicina, di casa, che ha condiviso momenti di vita vera. Se chiedete alle anziane, quasi tutte sapranno dirvi che quella signora dallo sguardo serio, leggermente malinconico, che accenna appena un sorriso a labbra strette, non è di Dorgali, neppure è una turista di passaggio. Sanno che è la senatrice Angiolina detta Lina Merlin* sì, proprio lei, «quella della legge sulle case chiuse». Sanno che è stata qui, nel loro paese, al confino nel 1927. Ovviamente, le donne di cui raccogliamo i ricordi e le emozioni del primo voto (2 giugno 1946), non l’hanno conosciuta, all’epoca erano neonate o di pochi anni ma ne hanno sentito parlare dalle madri che riferivano di quella presenza discreta e gentile, disponibile a dare una mano, dove fosse necessario, come infermiera o come maestra, in un paese dove l’analfabetismo femminile era generalizzato. Qualcuna ricorda anche in quale casa potrebbe aver abitato, casa Carotti forse; comunque, nel rione di Goritto, a pochi passi dalla caserma dei carabinieri dove doveva recarsi per la firma sul libretto “dei delinquenti”. Nella sua autobiografia, La mia vita (curata da Elena Marinucci con il beneplacito della nipote di Lina Merlin, Franca Cuonzo Zanibon ed edita da Giunti, 1989), sono ricostruiti i cinque anni del confino sardo iniziato a Nuoro e proseguito a Dorgali e Orune. Al racconto delle angherie e dei soprusi del potere fascista – che la priva persino dell’indennità di confinata, la sposta di sede, la minaccia d’incarcerarla a Ustica per colpe non

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