1946 il voto delle donne

39 L’antifascismo nel Ventennio, la guerra, la Resistenza commesse – s’accompagna l’empatìa, l’acutezza del giudizio critico sulle condizioni della Sardegna e della sua gente. Incredibile figura di donna, se si pensa al modello dominante in quegli anni anche nelle aree culturalmente e politicamente evolute del ‘continente’! Lina Merlin, entrata giovanissima, al termine del primo conflitto mondiale, nel Partito Socialista veneto, per impegno nei condivisi ideali di libertà e di giustizia sociale ne diventò la Segretaria della Federazione socialista di Padova, collaboratrice di testate emancipazioniste e pro-suffragio come “La Difesa delle Lavoratrici” fondata da Anna Kuliscioff: la Signora del Socialismo italiano, nella dirigenza della II Internazionale, nichilista, anarchica, femminista interprete sia del mondo operaio che di quello intellettuale e salottiero. Impegnata in prima linea nei luoghi dove il Fascismo era nato, sostenuto dalla borghesia agraria padana, sperimentò l’arresto, la fuga, il carcere, il confino di Polizia a Nuoro prima di essere trasferita a Dorgali «governata da un gerarchetto fascista» (op cit. 38), perché la città era «un covo di Sardisti avversi al regime» (op cit., 42). «Il ricordo di Dorgali si profuma di fiori di mandorlo, si colora dell’azzurro del mare travisto da un piccolo tunnel scavato sul monte Bardia, vibra del canto delle donne, eleganti nei loro caratteristici costumi e belle come figure egizie [ ] e si rallegra il ricordo dello scoppiettìo di una fiamma intravista da una porta aperta Ne avevo sentito il tepore da lontano e mi ero avvicinata Una donnina mi guardò e con voce invitante mi disse ‘veni in domo mea’ In quel dialetto latineggiante sentìi la forza di una civiltà che non era morta, ma doveva, chissà quando, vincere la barbarie di cui troppi italiani erano schiavi Quando mi vedevano passare intonavano la ninna nanna per le loro bimbe: “O ninnia, o ninnia, che tu professoressa sia, magari confinata, ma la gioia della tua mamma » (L. Merlin, op cit., 42) Abitava in casa di Paolo Mulas (agricoltore e distillatore di erbe officinali) e della moglie, Rosalia (Lia) Sale, in Via Iosto, in una camera che fungeva anche da cucina, con accesso separato dall’esterno. Di quel periodo, dell’affezione che provò, ricambiata, per la famiglia ospitante e il paese, rimane una fotografia, esposta in Comune, che la ritrae in costume con due figli dei Mulas (Franca, 1920, sposata Palomba; Giovanna (1923, sposata De Carlo) e il cuginetto Tonino (1924, figlio di Luigi Mulas, fratello di Paolo). Avvenne che Dorgali, ritenuto il paese più fascista della Sardegna, si dimostrasse troppo vicino ai confinati, «anzi entusiasta» come scrive Merlin, perciò fu spostata, per punizione, a Orune, paese su una cresta montana battuta dal sole e dal vento, dove rimase fino al 1943. La Sardegna, dove sbarcò nel cuore dell’inverno del ’27, unica donna incatenata ad altri cinquanta confinati, le era apparsa «un paesaggio desolato e brullo» e le si era «stretto il cuore» al pensiero dei cinque anni da trascorrervi, «da vegetare in quella prigione all’aperto». Nella sua determinata e dignitosa capacità di resistenza, costruita e irrobustita nell’opposizione alla dittatura nella temperie degli anni venti, trovò la forza di attraversare anche quell’ultima esperienza non «vegetando», non pensando solo a sé, ma approfittando d’ogni occasione per alleviare la condizione di arretratezza in cui versavano le donne sarde. Ma la Barbagia non era, in quel grigio ventennio, il deserto che poteva sembrare. Accanto alla moltitudine delle donne piegate dall’estrema povertà materiale e culturale e dalla tragedia di una guerra infinita, che aveva rubato gli uomini e lasciato alle donne il dramma della sopravvivenza quotidiana, c’erano figure luminose di donne straordinarie che resistevano, irriducibili, alle angherie del regime fascista, muovendosi nell’orizzonte politico del sardismo, del socialismo o di un cattolicesimo democratico aperto e non bigotto. Quasi tutte maestre o comunque fortemente impegnate nel sociale, passano attraverso la perdita del lavoro, l’arresto, il carcere, la continua umiliazione delle perquisizioni, del controllo della vita familiare e privata, senza mai abbandonare la forza e la scelta dell’impegno antifascista e del rifiuto dell’obbedienza. I compagni, importanti intellettuali protagonisti dell’antifascismo sardo (es. E. Lussu, F. Fancello, C. Pintus, D. Compagni), scelgono l’espatrio o la militanza tra i volontari antifranchisti nella guerra di Spagna, o partecipano ai movimenti clandestini del sardoazionismo e di Giustizia e Libertà, affrontando sempre liberamente destini eroici e spesso tragici. Le donne, costrette alla vedovanza obbligata, ad affrontare in solitudine ogni difficoltà comprese le ristrettezze economiche acuite dalla perdita violenta del lavoro, non meno eroicamente, nel quotidiano, mantengono le famiglie, si prendono cura delle generazioni, crescono e formano figli e figlie, custodiscono e trasmettono i valori della democrazia e la memoria dei padri e dei parenti assenti. «Non ti darò torto se mi dirai che per me stesso ho cercato la soluzione più facile, di un romanticismo quasi puerile [...] solo Graziella, in quell’occasione, è stata eroica, pienamente consa-

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