1946 il voto delle donne

44 1946: il voto delle donne Una famiglia di donne nella Resistenza torinese Testimonianza di Chiara Gallesio Fiorensoli (Torino, 12 ottobre 1917) L’8 Settembre dell’anno 1943, il generale Badoglio firmò l’Armistizio con gli Alleati e, di conseguenza, l’Italia si trovò divisa in due: metà occupata dagli eserciti Inglesi e Americani e l’altra metà dai Tedeschi che, da amici e alleati, divennero improvvisamente nemici e occupanti. Quel giorno mi trovavo a Pinerolo, a circa 50 km da Torino, dove lavoravo, con mia sorella maggiore, Anna Rosa, per la Società Mineraria Monteponi di Sardegna che vi aveva trasferito gli uffici amministrativi dopo i bombardamenti su Torino. Sfollò a Pinerolo tutta la mia famiglia composta dalla nonna paterna (Anna Gaido), dai miei genitori, Luigina e Pier Nicola, dalle mie sorelle: Anna Rosa, Lorenza e Paola, che era sfollata in collina, dalla famiglia del fidanzato, L. Pessione. Un’altra sorella, la secondogenita, Maria Clemens, morì giovane. Ero nata quartogenita, gemella dell’unico maschio, Pier Luigi, già Tenente di Fanteria. Al comando della fortezza alpina di confine sopra Bardonecchia, mio fratello si rifiutò di cannoneggiare i Francesi quando il Duce s’alleò con i Nazisti e fu mandato a Lampedusa dove, all’arrivo delle navi inglesi, s’arrese per la disparità delle forze e perché non avevano niente per difendersi, salvando la vita ai suoi uomini. La Società Monteponi sospese le traversate nella fase finale della guerra e chiese al personale di licenziarsi. Anna Rosa ed io andammo a lavorare a Torino, facendo le pendolari, finché decidemmo di riportare la famiglia in città. I bombardamenti non erano finiti, c’erano voli di disturbo, mitragliamenti, tuttavia eravamo noi sorelle e nostra madre, impiegata alla Venchi Unica, a mantenere la famiglia e decidemmo per tutti. La nostra famiglia era cattolica e antifascista dalla prima ora, molto unita. Mio padre Pier Nicola, dirigente sindacale dei Ferrovieri nei “sindacati bianchi”, era “Disegnatore Capo” delle Ferrovie dello Stato e fu licenziato in tronco quando rifiutò di giurare al Duce. Era un uomo colto ed estroso, in gioventù grande amico di Emilio Salgari cui rimase vicino nella malattia. Io non ero ancora nata, se ne parlava in casa e ne parlano i giornali*. Mio padre scriveva, recitava e ci faceva recitare, in casa, testi suoi o di Anna Rosa; era un artista. Girò uno dei primi film di quello che fu detto “il realismo italiano”, La denuncia, dove recitò un intero paese, Villastellone, con scene nella nebbia e senza far mai guardare attori e attrici verso la macchina da ripresa. Il film fu proiettato, verso la fine del 1923, a Torino e il copione fu anche messo in scena, in dialetto, in un teatro di via Po**. Mia madre, Luigina Giganti, aveva un fratello, Antonio, il “primo morto” nella guerra di Libia; vide delle ombre muoversi e non venendo creduto si alzò. Gli hanno fatto un piccolo monumento. Mia madre era molto bella e mio padre ne mise il profilo nel medaglione d’apertura del film; lei si girava e sorrideva. Le intitolò la produzione: “Aloisia Film”. Durante la guerra, nascondemmo le pizze del film in una parrocchia. Ho cercato di rintracciarle per decenni. C’era dentro tutta la mia famiglia, gli zii, i nonni, i cugini. Solo recentemente siamo riusciti a sapere che sono nella cineteca di Londra, probabile bottino di guerra, ma penso che non si veda più niente. Mio padre era un uomo di pace ma ritenuto lo stesso pericoloso: «Controllavano ogni sua mossa Spesso la Polizia bussava alla nostra porta () Eravamo una famiglia numerosa e abbiamo conosciuto la povertà ma ci sostenevano idee molto belle Non fu il solo cattolico che a Torino voltò le spalle al fascismo» scrisse Anna Rosa (Famiglia Cristiana, n. 28/2000, 105). Lei era brava a scrivere e scriveva già sulle testate clandestine, si occupava anche della diffusione della stampa. Le diffonditrici svolgevano un compito importante e pericoloso, specie quando uscì un’ordinanza che faceva rischiare il carcere, la deportazione o la fucilazione, fatta apposta per colpire la rete della Resistenza. Le donne erano tutte insospettabili, come la madre del Sacerdote della Sindone che abitava un appartamento in Duomo, precisamente sopra la grande Cappella, proprio sopra quello abitato dai Nazisti. Ogni giorno faceva passare sotto i loro occhi materiale proibito nelle borse della spesa. Non se ne sono mai accorti! Una volta andai a consegnare un messaggio a quel Sacerdote che nascondeva, in casa, setto od otto Repubblichini disertori, pentiti, a rischio della vita. Noi abbiamo sempre nascosto in casa ebrei e capi partigiani che non potevano tornare in montagna e per fortuna non ci hanno mai prese e nessuno ci ha fatto la spia! L’essere una famiglia di donne ci ha aiutato nella Resistenza. Mio padre morì il 28 settembre 1944, per una polmonite diventata tisi. Era stato pesantemente aggredito, molto tem-

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