1946 il voto delle donne

51 L’antifascismo nel Ventennio, la guerra, la Resistenza I Gruppi di Difesa della Donna e i comitati pro voto Intervista di Marina Berarducci a Marisa Rodano* Qual è stato il percorso politico che avete seguito per ottenere il voto delle donne in Italia? Nell’autunno del 1944, dopo la Liberazione di Roma del giugno precedente, si costituì un comitato per ottenere il voto alle donne. Ne facevano parte le responsabili femminili dei partiti del Comitato di Liberazione Nazionale: Angelina Cingolani Guidi per la Democrazia Cristiana; Josette Lupinacci per il Partito Liberale; Rita Montagnana Togliatti per il Partito Comunista; Emilia Siracusa Cabrini per la Democrazia del Lavoro; Bastianina Musu per il Partito d’Azione; per il Partito Socialista Maria Romita o Giuliana Nenni; per il Partito della Sinistra Cristiana io e un’altra compagna, Luigia Cobao. Faceva parte del comitato anche la professoressa Bice Crova della FILDIS (Federazione Italiana Laureate e Diplomate Istituti Superiori), un’associazione che raccoglieva insegnanti e professioniste, conservatasi durante il fascismo, seppure sotto traccia. C’era l’Alleanza Femminile Pro-suffragio, di cui era presidente Teresita Sandeski Scelba. Nel comitato c’era l’UDI (Unione Donne in Italia), ma non il CIF (Centro Italiano Femminile), che si costituì mesi dopo, nel 1945. Questo comitato lanciò una petizione, raccolse delle firme, e cominciò una campagna perché si ottenesse il voto femminile al referendum repubblica/monarchia e per votare l’Assemblea Costituente. Così, il 31 gennaio1945, ultimo giorno utile per mandare ai Prefetti la circolare per iscrivere anche le donne nelle liste, si ottenne che il Governo decidesse a riguardo. Successivamente fu emesso anche un decreto per l’eleggibilità: come le donne potevano votare così potevano essere votate. Doveva essere una cosa ovvia, ma non lo fu e, in effetti, era meglio star sicuri! Negli anni precedenti al fascismo c’era stata una mobilitazione per far ottenere il diritto di voto alle donne, ma poi, con la legge Acerbo, questo diritto si tolse a tutti. Io stessa non sapevo nulla di quanto era accaduto prima del regime. A scuola nessuno me ne aveva mai parlato e non mi era mai capitato di dovermene occupare, quindi ho imparato tutto in quel periodo, nel Comitato pro-voto. Il giorno del voto: qual era lo stato d’animo delle donne? Il 2 giugno 1946, al referendum che decideva tra repubblica e monarchia, e alle elezioni per l’Assemblea Costituente, l’80% delle donne si recò alle urne. Ricordo una giornata festosa. Andai a votare con mio marito, a Roma, mi pare all’Esquilino, e trovammo una lunga coda di gente che aspettava di entrare. Era in ogni caso una novità. Dubito ci fosse la percezione che si trattasse di un fatto rivoluzionario, ma questo dipendeva anche dal livello culturale delle elettrici. Io non avevo dubbi che si stesse aprendo una nuova fase. L’Italia tornava al voto per la prima volta dopo decenni e per il Governo e i Comuni non fu facile trovare presidenti di seggio, scrutatori che non fossero analfabeti e rappresentanti di lista per tutte quelle che si erano presentate. Il Mezzogiorno votò in maggioranza per la monarchia, mentre dal Lazio in su prevalse la preferenza per la repubblica, con il Veneto al primo posto. C’era un desiderio trasversale per l’abbandono dell’istituzione monarchica, più forte a sinistra che a destra. E soprattutto, come disse allora Benedetto Croce, la repubblica può vincere per un voto, mentre se la monarchia non ha il consenso di tutto il popolo non può sussistere. Negli ultimi mesi di campagna elettorale il re Vittorio Emanuele III si era dimesso e, nel maggio 1946, gli subentrò Umberto, il principe ereditario, soprannominato appunto ‘il re di maggio’. Questa mossa fu presa molto male dai repubblicani, che lo considerarono un colpo basso volto a rafforzare la monarchia. Il re, dopo il fascismo e la guerra, era fortemente compromesso e perciò si pensava che con una figura nuova si potesse riabilitare l’immagine del sovrano. Subito dopo il voto, invece, ci fu polemica, soprattutto all’interno dei partiti di sinistra. Dicevano che era stato sbagliato dare il voto alle donne, dicevano “le donne ci hanno traditi nell’urna, hanno dato retta al prete”. Io non credo che questo corrisponda alla realtà. Sì, è vero, la Democrazia Cristiana prese tanti voti, ma ne presero tanti anche i comunisti e i socialisti, gli azionisti e i liberali. Probabilmente era una polemica soprattutto di chi era già contrario al voto alle donne fin dall’inizio. Cosa accadde dopo la proclamazione dei risultati? La proclamazione dei risultati avvenne in ritardo perché si aprì una polemica sul conteggio dei voti: se si dovessero conteggiare sui votanti o sui voti validi. Alla fine, dopo 10 giorni, finalmente fu annunciato il risultato del referendum, il cui esito, ad esempio a Napoli, provocò un assalto, da parte di masse monarchiche, alla sede del C. La cosa importante è che furono elette delle donne nell’Assemblea Costituente. Un fatto decisivo perché, se non avessimo avuto tante donne elette non avremmo ottenuto nella Costituzione quei principi di parità che poi ci hanno permesso di trasformare il Paese negli anni successivi. Alla Costituente ci fu una discus-

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