1946 il voto delle donne

56 1946: il voto delle donne le pratiche della residenza anche perché all’anagrafe risultavo partita per ignota destinazione. Essere deportata equivaleva ad essere partita volontariamente per un viaggio all’estero! I pochi e le poche ebree rientrate dalla deportazione non hanno come me sovente potuto votare nel 1946 proprio per mancanza di residenza! C’è anche da dire il problema di chi, superstite, sia espatriato/a nel dopoguerra in Europa o in altri continenti; specialmente in Belgio e Congo Belga. Se non ho potuto votare, sono diventata testimone delle deportazioni naziste e fasciste, della mia storia e di quella del mio gruppo subito dopo la mia iscrizione all’Associazione Nazionale ex Deportati (ANED), Ente morale nato nel primo dopoguerra a Milano, Torino, Roma e Udine per rappresentare i vissuti individuali e collettivi nella deportazione e nella Schoà e i diritti dei superstiti e dei familiari dei caduti, senza distinzioni di credo religioso o d’orientamento politico, con sede nazionale a Milano. Ravensbrück, Il Lager delle Donne Digiune, tremanti dal freddo e l’umidità, cerchiamo un po’ di calore addossandoci le une alle altre, vincendo il naturale ribrezzo verso corpi spesso non più giovani, afflosciati, deturpati da piaghe È l’incontro con il mondo del lagher, l’entrata coatta in una comunità estranea alla quale bisogna aderire per sopravvivere È la costrizione all’annullamento del nostro io, di tutto quello che può esserci in noi di più gelosamente intimo (A. Laurenzi, Ravensbrück, il lager delle donne) Il lager di Ravensbrück fu aperto, nel maggio 1939, per le tedesche, oppositrici politiche di Hitler e per quelle bambine e adulte che la società nazista voleva occultare, sfruttare nel lavoro ed eliminare; solo più tardi vi entrarono donne di 18 nazionalità e fedi diverse (meno di un terzo le ebree): casalinghe, dottoresse, politiche, nemiche vere o presunte, esponenti della Resistenza, cantanti d’opera, donne provenienti dalle carceri comuni, prostitute, ‘zingare’, disabili, alienate o definite tali. Un campo di concentramento e poi di sterminio, benché il distinguo valesse poco dato che al lavoro forzato, alle sevizie, agli stenti, alle sperimentazioni chirurgiche spesso mortali, si aggiungevano sia pratiche sistematiche d’aborto fino all’ottavo mese con bruciatura dei feti e dei/delle neonati/e, che l’eliminazione di adulte e bambine incrementata, nell’ultimo periodo, dall’arrivo delle ebree. Un orrore svelato da due opere fondamentali: Il libro fotografico e testuale Ravensbrück di Ambra Laurenzi, regista e fotografa, edito da ANED/Fondazione Memoria della Deportazione, 2007, costruisce – con la sensibilità e l’empatia di un’artista che è nipote e figlia di deportate in quel campo – un ponte di memoria e di emozioni fra passato e presente; riconsegna le sensazioni di non-vita; l’isolamento, il dolore e l’annientamento del lager ma anche lo sforzo della natura di crescervi fiori erba e arbusti tra le baracche, le celle, gli strumenti del lavoro forzato (in gran parte sartoriale), i locali dell’atroce sperimentazione chirurgica. La ricerca storica e biografica intitolata Il Cielo sopra l’Inferno (titolo originale If This Is a Woman, Edizioni Newton Compton, 2015), di Sarah Helm, laureata a Cambridge, giornalista, redattrice del “Sunday Times Magazine”, corrispondente estera dell’“Indipendent Review”, collaboratrice di diverse testate (es. The Observer), saggista e drammaturga. L’opera ha il coraggio di una rigorosa ricostruzione storica nel lager che ingoiò, in sei anni, 130.000 donne e che Himmel costruì a “modello” del suo odio verso la vita e il femminile. Vi si narrano le gerarchie interne, femminili, ufficiali e ufficiose; l’emblematico e spaventoso rapporto di potere anche tra le aguzzine, risultando come sempre la storia del genere femminile diversa, quando non più sconvolgente di quella ufficiale. Sui corpi feriti delle sopravvissute infierirono persino i liberatori, l’armata sovietica. I due libri sono stati presentati nella Casa internazionale delle donne, nel maggio 2016, nel corso di un incontro organizzato e coordinato dalla giornalista femminista Carla Guidi. In un pomeriggio ricco di emozioni, presenti le due Autrici, una delle relatrici, Anna Foa, ha dichiarato di sentirsi anche lei una “sopravvissuta” di Ravensbrück dove i nazisti facevano sistematicamente abortire le detenute rimandandole immediatamente, come le puerpere, al lavoro forzato e uccidendo feti e neonati/e; sua madre, Lisa, era infatti incinta quando i partigiani ne organizzarono la fuga dalla milanese Villa Triste (soprannome dei centri di tortura nazifascisti), poco prima della prevista deportazione a Ravensbrück. A Ravensbrück passò terribili mesi, nel 1943 anche la Madre Costituente, Teresa Noce (vedi pag. 66). «Numeri, numeri, numeri i nomi scomparsi E triangoli: il segno infame di una colpa imperdonabile: rosso per le politiche, verde per le ladre e prostitute, giallo per le ebree, viola per le Testimoni di Geova, rosa per le omosessuali, nero per le donne Rom e le asociali un mondo non di donne ma di numeri, di triangoli, privo di umanità e con un unico feroce destino» (A. Laurenzi, op cit. 34)

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