1946 il voto delle donne

Nella primavera del 1946 in fabbrica i lavoratori e le lavoratrici cominciarono a parlare del referendum Ora tutti sanno cosa significa referendum ma allora la stragrande maggioranza del popolo non sapeva niente Descrivere l’entusiasmo femminile per la conquista del voto è una cosa impossibile Le ragazze ed i giovani che non avevano l’età venivano ugualmente alle riunioni e dopo avere capito quale importanza assumeva questa prima consultazione erano amareggiati per non poter votare Per essere utili, s’impegnavano nella propaganda, insegnavano a votare alle madri e alle nonne spiegando la differenza tra repubblica e monarchia Le lavoratrici durante l’interruzione del mezzogiorno e alla sera all’uscita dal lavoro avvicinavano le donne indecise, quelle che ancora avevano dubbi sulla scelta spiegando loro con parole semplici che scegliendo la repubblica significava pace, lavoro, scuole per i loro figli sviluppo in tutti i campi della democrazia e libertà La campagna elettorale in fabbrica era molto più facile perché la donna era abituata a vivere fuori dalle pareti domestiche, viveva fra altre donne e uomini e soprattutto aveva imparato a lottare, partecipava alle riunioni, esprimeva le proprie opinioni, contribuiva a quella vita ancora sconosciuta alla maggioranza delle casalinghe Nel periodo referendario, il comitato dell’asilo chiese all’assistente sanitaria che le donne impegnate dopo l’orario di lavoro in riunioni all’interno potessero ritirare i bambini più tardi dell’orario previsto Le dade Vittoria, Anna, Maria e Tina ed altre prolungavano la loro attività senza essere pagate e la cuoca Teresa rimediava focaccine per i bambini che quella sera avrebbero cenato più tardi del solito Il sacrificio delle madri, la solidarietà del personale dell’asilo, dimostrarono il salto politico di qualità delle donne che per la prima volta volevano contare qualcosa nella società Furono organizzate dall’Unione Donne Italiane le riunioni di caseggiato per toccare il più elettorato possibile Fedora, Paola e Mariolina in una di queste riunioni aspettavano tre donne facenti parte di una stessa famiglia Invece arrivò il capofamiglia che, dopo avere ascoltato disse: «Sono venuto io alla riunione per sentire e vedere come si fa a votare tanto le nostre donne non ci vanno, quando ho visto come si fa ci vado solo io perché loro sbaglierebbero di sicuro» Non c’era da meravigliarsi, il capo famiglia aveva sempre fatto tutti gli interessi della casa, perfino quando il padrone gli dava il commiato [ndr gli toglieva l’affitto della terra], era sempre lui che andava alla ricerca di un nuovo fondo conforme alla famiglia Le donne mai vi avrebbero messo becco Ma ben più grave era anche che il sindacato dei lavoratori della terra tesserava solo il capo famiglia che rappresentava tutto il nucleo escludendo le altre forze lavoro che così non avevano vita politica, insomma non contavano Le partecipanti alla riunione di caseggiato reclamarono, dissero che le donne erano state attive nella lotta di liberazione, si erano conquistate il diritto di voto ed era giusto che andassero a votare per contare, poi, con il fax-simile della scheda andarono a conoscere le donne di casa Quando andarono via, non solo avevano convinto il capo famiglia della grande importanza del voto alle donne ma anche che in questo modo la forza politica della sua famiglia era aumentata da 1 a 4 Questo periodo per le donne che prestavano attività nelle organizzazioni di massa fu un susseguirsi di nuove esperienze Il contatto con le donne che avevano sete di sapere era per loro motivo di grande soddisfazione Riuscire a farsi capire e a convincere le indecise con argomenti semplici, senza giri di parole inutili, far toccare con mano la realtà spiegando la necessità di cambiare e soprattutto far comprendere che le donne volevano ciò quanto lo voleva l’uomo e in quel momento il voto era l’unica espressione di parità più perfetta fra donna e uomo, le rendeva più vivaci e fiduciose nell’avvenire che loro stesse stavano creando • Fonte: Katia Graziosi, Responsabile UDI di Bologna Dal racconto di Anna Zucchini, operaia alla fabbrica Ducati di Borgo Panigale, nel 1946

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