1946 il voto delle donne

60 1946: il voto delle donne Le donne, l’indimenticabile 1946 e le elezioni amministrative di Vittoria Tola, Responsabile Nazionale UDI* Le donne che votano sono la grande novità e curiosità delle elezioni del 1946. Non solo nelle elezioni politiche in cui dovranno scegliere tra Repubblica e Monarchia e per l’Assemblea Costituente ma anche per quelle amministrative, con inizio a marzo. Le donne in generale capirono il valore della loro partecipazione, di riscatto e rivincita rispetto alle condizioni di subalternità che avevano sofferto nella storia d’Italia; il clima di attesa, di svolta verso il futuro e persino di gioia lo testimoniano. I dati della partecipazione ne sono la prova più evidente. Rosetta Longo, nella segreteria nazionale UDI del 13 marzo del 1946, consapevole del valore politico e simbolico del voto ma anche del rischio di minimizzazione del risultato ottenuto, grazie al grande lavoro dell’UDI, del senso storico di quel momento e dei possibili silenzi e smemoratezze successive, chiese che l’associazione di dotasse di uno strumento valido per avere un quadro esauriente sulla situazione nazionale e propose la costituzione di un archivio più attrezzato: «Bisognerebbe avere in archivio i risultati delle elezioni comunali, in particolare sulle donne elette. [E un] archivio stampa». La richiesta fu sottolineata da altre «insistendo sulla validità di un’operazione di raccolta e conservazione del materiale elettorale e chiedendo che i provinciali mandino i ritagli di giornale che riguardano l’UDI e i problemi femminili». Quelle donne conoscevano bene la situazione in cui s’era svolta quella campagna elettorale e in cui avevano dovuto fare i conti con tutti i pregiudizi e gli stereotipi sulla maturità delle donne di affrontare le scelte politiche. I pregiudizi e le paure non riguardavano solo quella parte della classe politica che, nonostante la Resistenza, non riusciva a fare i conti con il ruolo fondamentale svolto dalle donne e si preoccupava dei passaggi fondamentali che il paese aveva di fronte, temendo il voto femminile per molte ragioni. C’era anche l’atteggiamento della stampa e un senso comune refrattario ad affrontare in modo positivo quanto quella sfida rappresentava. Si andava dalla piena convinzione d’intellettuali come A. Céspedes, Maria Bellonci, Sibilla Aleramo, Anna Magnani o Valentina Cortese a chi non si peritava d’esprimere giudizi contrari e sprezzanti come Vittorio Gassman e de Sica, Maria Mercader, Gino Cervi e Guareschi per nominarne solo alcuni. Nella campagna elettorale delle Amministrative che coinvolgeva grandi città e piccoli paesi di tutt’Italia, le cose erano difficili perché la politicizzazione, molto forte per il 2 giugno, sembrava vacillare nell’alfabetizzazione democratica per le amministrative. Bisogna ricordare che, se forte era stato il protagonismo delle donne nell’attività resistenziale, questa aveva coinvolto diversamente il nord e il sud del paese. Inoltre, nel 1946, la maggioranza delle donne erano casalinghe, senza redditi propri e con un grande analfabetismo (oltre tre milioni) o avevano solo la licenza elementare. La retribuzione delle lavoratrici era la metà di quella dei lavoratori a parità di tipo e durata del lavoro e, in agricoltura, un terzo di quella degli uomini. Alla Liberazione, l’UDI, che si era concentrata sui problemi immediati, trovando nella passione politica e nelle straordinarie relazioni sociali tessute durante la Resistenza e con un’incredibile capacità organizzativa, creò i contatti, su scala nazionale, per sensibilizzare le donne sull’importanza di esercitare il voto sottolineando che, se i risultati fossero stati quelli sperati, le donne ne avrebbero tratto vantaggio rispetto alle loro necessità. Di qui il sostegno a candidate dal noto impegno antifascista e politico, anche se molto giovani. Un lavoro capillare in cui fu investito un capitale umano e politico di grande credibilità personale. All’arrivo dei dati definitivi, risultò che il numero delle donne elette fosse, se non quello desiderato, certo non trascurabile: oltre 2000 donne entrarono nei consigli comunali, la maggior parte esponenti dei tre partiti di massa usciti vincitori dalle elezioni. Tra le consigliere, se spiccano i nomi più noti della lotta antifascista, come Ada Gobetti vicesindaco a Torino, numerose furono le giovani che ricoprirono assessorati, da Venezia a Brindisi. La sorpresa venne per le sindache, le ‘sindachesse’, come le chiamarono, elette in piccoli centri dove la percentuale delle elettrici aveva superato quella degli elettori. Due di loro furono elette in Emilia, due in Sardegna, una nelle Marche, una in Umbria una in Calabria. Quattro erano maestre e avevano la licenza di scuola superiore; una, avvocata. Quattro di loro erano comuniste, tre democristiane. Tutte erano delle lavoratrici, solo due casalinghe benestanti. Tutte furono rielette per molte legislature date le capacità dimostrate: Margherita Sanna (Orune, NU), Ninetta Bartoli (Borutta, SS); Ada Natali (Massa Fermana, Fermo), deputata dal 1948; Ottavia Fontana (Veronella, Verona), Elena Tosetti (Fanano, Modena); Lydia Toraldo Serra (Tropea, Vibo Valenzia), Elsa Damiani a Spello (Perugia). Tutte figure che

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