1946 il voto delle donne

62 1946: il voto delle donne Dall’ottenimento di un diritto all’esercizio. Italiane dal 10 marzo al 2 giugno 1946 di Valentina Muià, Master in storia di genere, coordinamento UDI «In Italia la donna vota per la prima volta, non basta votare ma occorre saper votare», così recita un volantino dell’Unione Donne Italiane di Marzo 1946 (Acudi, cronologico, B 9, f. 96) alla vigilia della prima tornata delle Amministrative (la seconda tornata in autunno) e dell’appuntamento del 2 giugno 1946 con doppio voto per il Referendum tra Monarchia e Repubblica e per l’Assemblea Costituente; data in cui l’elettorato maschile e femminile esordì nel suffragio universale grazie ai decreti legge n. 23 del 1° febbraio 1945, che riconobbe alle donne l’elettorato attivo e n. 74 del 10 marzo 1946 che – disciplinando la legge elettorale per l’Assemblea Costituente – ne riconobbe anche l’eleggibilità. Cadevano inoltre le discriminazioni, tra uomini, dovute al suffragio censorio Il 2 giugno, dunque, le/gli aventi diritto al voto (19.802.581) formarono lunghe file davanti ai seggi, le donne con «nel petto un vuoto da giorni d’esame» e «stringendo tra le mani le schede come biglietti d’amore» come disse Anna Garofalo nella radiocronaca (A. Garofalo, L’Italiana in Italia). Nel sensibilizzare l’elettorato femminile al nuovo diritto da esercitare a livello nazionale e locale, l’associazionismo femminile, specie quello a maggiore partecipazione popolare come l’UDI e il CIF, puntò all’alfabetizzazione politica di un popolo che usciva dal fascismo sapendo che per le donne, al superamento di un diritto negato, si trattava della conquista della cittadinanza fino a quel momento, in Italia, solo al maschile. Votare significava legittimare e stimolare autonomia e affermazione di sé. All’associazionismo delle donne era chiaro ed urgente che per ottenere la massima partecipazione, anche istituzionale, delle donne alla vita del paese e renderle cosapevoli di cosa significasse ‘mettere la scheda nell’urna’ occorresse colmare le distanze, le paure e le diffidenze che potevano circondare non solo l’andare a votare ma eleggere altre donne o voler essere elette. La propaganda emancipatrice riuscì tanto bene, e tale fu il coinvolgimento trasversale delle donne, che furono elette 21 donne all’Assemblea Costituente; una percentuale del 4% sulla quale ci sono pareri discordanti potendo essere considerata un successo rispetto a un momento senza precedenti e anche rispetto al numero delle donne elette o ri,elette al Parlamento nelle legislazioni successive segnate dalle campagne ‘vota donna’, sia come un insuccesso, una percentuale modesta, «per la mancanza di fiducia delle elettrici verso le candidate dello stesso sesso fosse dovuta alla situazione di inferiorità in cui le donne erano state tenute per troppo tempo» (A. Garofalo, op cit.). Il materiale d’epoca, i giornali, le testimonianze evidenziano i principali problemi delle campagne elettorali dell’associazionismo delle donne nel 1946: allargare la consapevolezza dei propri diritti per donne e uomini, incrementare l’andata alle urne e, ottenere la vittoria della Repubblica contratando la propaganda filomonarchica che anch’essa guardava alle elettrici ma puntando sulla tradizione. L’esito maggioritario e a larga componente femminile, favorevole alla Repubblica, è un dato da analizzare da solo: frutto della pressante campagna elettorale o del rifiuto dell’operato dell’ex Casa regnante rispetto al Fascismo e al Nazismo? La dinastia Savoia aveva consegnato al lager una parte cospicua e inerme di sudditi e suddite e anche una sua principessa, Mafalda di Savoia; le oratrici e non solo loro, nella campagna pro-Repubblica, sottolinearono con forza i danni apportati agli interessi comuni e l’oscuro rapporto della monarchia con i Totalitarismi. Era chiaro a tutti/e che il voto delle donne poteva essere l’ago della bilancia. In quante e per chi avrebbero votato? Avrebbe avuto ragione chi temeva che le donne, vincolate all’obbedienza, considerate prive di esperienza politica e senza un vero potere attrattivo di rappresentanza, fossero, oltre che manipolabili, tendenzialmente inclinate al voto cattolico e/o di destra? Non c’erano paragoni. Le Italiane risposero con afflusso enorme alle urne, la vittoria della Repubblica e l’ingresso delle donne nelle Amministrazioni e alla Costituente. La campagna elettorale del 1946 dimostrò che l’omologazione tentata dal Fascismo non era riuscita e che i percorsi si mantenevano plurali e ben riconoscibili nei diversi obiettivi; tuttavia è d’obbligo ricordare che in alcuni ambienti d’estrema destra e filo,monarchici la sconfitta fu ritenuta frutto di imbroglio. Ne troviamo qualche sporadico esempio nelle testimonianze ricevute dal progetto 1946: il voto delle donne. La pluralità, dunque, attraversava non solo le organizzazioni partitiche ma ogni aspetto della società civile riflettendosi e segnava differenze anche nelle più antiche associazioni di donne (CNDI, FILDIS e WILPF), e in quelle nuove, UDI e CIF, le maggiori, nate nella clandestinità ed affermatesi nel

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