1946 il voto delle donne

63 La conquista del suffragio femminile in Italia dopoguerra; altra associazione costituitasi nel 1946 fu l’ANDE, finalizzata a far acquisire maggiore coscienza politica all’elettorato, specie femminile. L’UDI era portatrice di una cultura della partecipazione iscritta nella sinistra, nel laicismo, nelle lotte sindacali e accentrò la sua campagna elettorale sui temi del lavoro e della parità salariale, della rappresentanza, della parità di diritti e della maternità ma sempre in un’ottica non tradizionale. Contrastò anche il riflusso delle donne nell’ambito domestico, come già accaduto dopo la Prima Guerra mondiale quando le donne erano state allontanate dai lavori ‘maschili’ che prima avevano ricoperto e che non si voleva accadesse nel secondo dopoguerra. Esercitare il diritto di voto era responsabilizzarsi verso lo Stato e i suoi soggetti, perciò l’UDI richiamava non solo al ‘valore sociale della maternità’, ma al ruolo che le donne svolgevano rispetto alla cura e alla salute della famiglia. Si legge: «Ciò che ogni madre deve sapere per la salute, l’educazione e la felicità dei propri figli» (Acudi, cron., B 9). Le parole chiave di volantini e manifesti UDI, la materia dei suoi comizi e delle innumerevoli riunioni delle iscritte, riguardavano perciò i temi fondanti la costruzione del paese e il ruolo delle donne. Anche il CIF e altre organizzazioni femminili d’ispirazione cattolica avevano obiettivi emancipatori ma con un diverso modello femminile, aderente ai dettami cattolici e la loro propaganda sottolineava il pericolo di una vittoria della sinistra rispetto ai valori e ai ruoli dati per tradizionali. Uno degli elementi forti dello scontro elettorale fu quello tra impostazione laica e cattolica, entrambe minacciando la rovina se avesse vinto la parte avversa e, quella cattolica, anche minacciando l’Inferno a chi, specie le donne, non avesse seguito le indicazioni della Chiesa. È un pezzo di storia del paese che non finì il 2 giugno 1946 ma caratterizzò la storia politica italiana per decenni. Tutta la propaganda delle donne s’avvaleva di scarse risorse, iscritta nel volontariato anche quando le propagandiste ricevessero una formazione e s’impegnassero costantemente nell’immane sforzo organizzativo andando di casa in casa, di cortile in cortile, di parrocchia in parrocchia. L’UDI organizzò in tutte le Regioni ‘comizi volanti e rionali’, ‘riunioni di caseggiato e di strada’ cui partecipavano anche 50, 60 donne o più e spesso anche molti uomini bisognosi d’apprendere il meccanismo del voto (Acudi, cron., B 10, f. 103). Questo tipo d’iniziativa risultò più difficoltoso per il CIF i cui comitati locali erano meno collegati. Nel gennaio del 1946, la segreteria dell’UDI istituì una commissione elettorale che stilò elenchi dettagliati delle responsabili della propaganda nelle diverse aree geografiche; stampò cartoncini propagandistici di piccole dimensioni, d’agevole distribuzione, alcuni con piccolo nastro tricolore per appenderli al risvolto delle giacche; indisse riunioni ‘aperte’ sulle problematiche del territorio: scuole, trasporti, luce e gas, assistenza e sanità, contrasto ad alcune imposte particolarmente gravose per le contadine come la tassa sugli animali da cortile, su quali fossero i princìpi che regolano una Repubblica democratica e la Costituente. Il lavoro capillare riguardò tutti gli aspetti del voto, compreso il fornire la documentazione necessaria alle donne che ne erano prive, mancando in molte dopo la guerra di documenti (es. le ex deportate). L’anno prima, nel 1945, il CIF aveva istituito a Roma un ufficio di verifica dei dati anagrafici delle iscritte alle liste; dal canto suo, l’UDI di Firenze aprì una succursale degli uffici dell’anagrafe per alleggerire l’onere delle richieste di documenti a Palazzo Vecchio (Acudi, cron,. B 10, f. 100). La propaganda elettorale, di ogni sigla, utilizzò slogan semplici e immagini forti. e quella dell’UDI unì all’indicazione libertaria l’invito a votare contro gli “sfruttatori del popolo, i fascisti, i profittatori e gli speculatori” (Acudi, cron, B 9, f. 96); a favore della pace (Acudi, cron., B 9); per “un’amministrazione di popolo” ritenuta l’unica capace di assicurare diritti e fronteggiare i problemi di quella che era definita la “condizione femminile”. La campagna elettorale si svolse « tra un’orgia di cartelli elettorali sui muri, fervore di comizi, discussioni accanite nei locali pubblici ad ogni cantone, in ogni mercato o piazza. È bello vedere riprendere vita a un organo anchilosato: il cervello» scrisse Anna Garofalo (op cit.), narrando il suo e l’altrui impegno, con le sue difficoltà. Le propagandiste, le comizianti dovevano superare molti ostacoli anche a livello personale. Non era facile per loro esporsi, contattare la gente e parlare in pubblico davanti all’offensiva di uomini insofferenti e/o scandalizzati dalla loro presa di parola. Uomini che spesso istigavano le donne all’astensionismo, instancabili antisuffragisti, sostenitori di una pregiudiziale immaturità femminile. In una trasmissione di Ora D del 1986, Laura Lombardo Radice ricordò quelle sensazioni: «è una cosa a cui ci dovevamo abituare come ci saremmo abituate anche ai consensi commossi delle donne.» Dominatrici di folle, furono Gemma Russo a Reggio Calabria che superò i fischi e le accuse dei monarchici; Ada Gobetti e Camilla Ravera a Vercelli, che furono «ascolta-

RkJQdWJsaXNoZXIy MjM0NDE=